Descrizione
Sei altrove, stai facendo altro, hai i tuoi soliti traffici e i tuoi pensieri. Sei impegnato, come d’abitudine con quella che, per convenzione, si chiama vita: vai, fai, ti agiti, più o meno annoiato o concentrato, sereno o preoccupato. Poi, a un tratto, di lontano, non capisci bene da dove, arriva un suono -un arcobaleno di suoni, un cielo di suoni- che ti prende il cervello insieme al cuore. E ti prende gli occhi: anche se li tieni chiusi, si riempiono di immagini.
È un richiamo. Da dove viene? Proprio sicuro che venga da fuori, fuori da te? A ben sentire –a ben ascoltarsi- può essere qualcosa che ti è dentro da sempre, una musica che già prima era in te: si trovava da qualche parte, giù in fondo, nella carne, nel sangue, nella memoria, in quella cosa che, se esiste, chiamiamo anima.
E di che cosa è fatto questo richiamo cresciuto come radici? È fatto di voci che -una sull’altra, una nell’altra, una accanto all’altra- si danno la mano e tengono insieme il mondo: abbracciano il piccolo grande mondo che abitiamo. È fatto di storie e sentimenti condivisi. Trasmette commozione, cioè muove insieme, fa muovere insieme –non è meno importante l’avverbio insieme del verbo muovere. Mette in azione ricordi, idee e pensieri, allegria e malinconia, felicità e tristezze. Accomuna non solo le persone, ma i tempi: il passato, il presente, il futuro, li rende tutti contemporanei. Ti fa sentire parte di una comunità che attraversa le epoche e le stagioni.
C’è una familiarità che trascende la conoscenza, c’è l’origine -il suono dell’origine- in questi canti reinterpretati e restituiti al nostro tempo da Amerigo Vigliermo e dal Coro Bajolese.
Ascolti e vedi. Vedi i volti e i corpi, le mani grosse, gli zigomi alti, i muscoli, le rughe e gli occhi -i loro occhi con sguardi di volta in volta orgogliosi e spersi, affaticati e malinconici, duri e sognanti-; vedi le carni e le speranze, le gioie e i dolori di uomini e donne riassunti in questi canti, raccolti e mantenuti in vita da queste voci. E queste voci non sono altro che ciò che noi siamo stati e ciò che saremo, così come siamo stati i nostri padri e i nonni, così come saremo i nostri figli e i discendenti.
Sono anche paesaggi, un territorio antico e ancestrale, di cui dobbiamo avere cura, per dare loro spazio, per farli durare, per non consumarli e non dimenticarli.
Gli scienziati ci spiegano tutto ciò che accade dall’attimo dopo il Big Bang. Sono prodighi di parole e certezze, delucidazioni, interpretazioni, chiose, chiarimenti. Si mostrano sicuri di sé e delle proprie scoperte. Ma di quello che è successo prima del Big Bang, neanche una parola: sul vasto oscuro prima tacciono.
Io ho una sensazione, non so spiegarla, so soltanto scriverla: prima, prima di ogni prima, c’erano queste voci. Prima c’era Elvira, Mi sovvien, Cime nevose, Casina sola… Prima c’era il Coro Bajolese che le cantava.
Gian Luca Favetto
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