Descrizione
L’autore rivive in questo libro, dopo oltre trent’anni, memorie, vicende e impressioni scritte nel 1944, nelle notti di prigionia in una buia cella del Castello d’Ivrea.
La prefazione è certamente amara: ma, anche se posta all’inizio di avvenimenti vecchi di un terzo di secolo, essa è oggi, dei nostri giorni, e tradisce delusione e sconforto per un mondo, sognato allora dietro le inferriate galeotte – come l’autore le chiama – e in tanta parte non realizzatosi nella realtà presente.
Il diario, nel suo contesto però, è vivo, vario: dall’episodio dell’arresto dei membri del I Comitato Militare nel Duomo di Torino, all’interrogatorio in Questura, al periodo di isolamento sotto i tedeschi, fino all’incontro e alla convivenza con i galeotti comuni, e anche alla rocambolesca evasione, è pieno di serenità, di fierezza quasi, per la condanna subìta dall’autore per un ideale, e per la figura di lui comandante di una banda partigiana, sui monti.
La narrazione è permeata di humor, in tanti episodi di ogni giorno, nella stagnante vita ergastolana. Altre volte divaga in ricordi, ricchi di poesia, anche sentimentali, dell’infanzia, della prima giovinezza, della vita con le stellette, o ci presenta il detenuto che si ripiega in sé stesso e fa della sua solitudine e di una profonda spiritualità interiore le ragioni per accettare la prova.
Sono pagine che svelano il temperamento dell’autore, impulsivo, combattivo, che non accetta violenze, ma che mostrano anche la sua capacità di comprendere gli altri, di amarli quanto più disgraziati o anche colpevoli.
È insomma la testimonianza di un uomo che crede e, conseguentemente, pensa che vivere voglia dire «servire».
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